Il bisogno economico abitativo

Avvocato Corinna Fabbri | Il bisogno economico abitativo

Le cause di giustificazione sono situazioni in presenza delle quali un fatto, che altrimenti avrebbe illiceità penale, perde la stessa perché consentito, facoltizzato da una previsione di legge. Il codice penale non parla espressamente di cause di giustificazione, mentre si trova un riferimento a tale termine all’interno degli art. 273 e 530 cod. proc. pen., in base ai quali non si possono applicare misure cautelari e si deve prosciogliere il soggetto in presenza o dubbio di esistenza di una causa di giustificazione. Tuttavia, all’istituto sono riconducibili non sono le norme di parte generale di cui agli artt. 50 ss. cod. pen., ma anche ulteriori situazioni previste all’interno della parte speciale od anche in leggi esterne al codice penale. Pertanto, in primo luogo, occorre delineare la nozione di cause di giustificazione e la ragione della loro esistenza. Per quanto concerne il fondamento politico – sostanziale, una parte prevalente della dottrina ricorre ad un modello esplicativo di tipo pluralistico, ritenendo che vi siano ragioni differenziate sottese alla previsione della liceità del fatto allorché commesso in presenza di una causa di giustificazione, mentre un altro indirizzo si basa su spiegazioni di tipo monistico, ritenendo esistente che, sotto le cause di giustificazione, vi sia sempre una e la stessa motivazione sottesa a tutte le norme che prevedono scriminanti. Secondo la prima impostazione, per alcune norme, il fondamento si individua in una valutazione comparativa astratta compiuta ex lege effettuata dal legislatore tra l’interesse presidiato dalla norma incriminatrice e l’interesse tutelato con la scriminante, affermando che, a fronte di ciò, il legislatore ritiene prevalente l’interesse tutelato dalla norma scriminante – es. legittima difesa, mentre, per altre disposizioni scriminanti, non vi è una valutazione comparativa od un interesse prevalente, ma la ragione della non punibilità si basa sul fatto che viene meno l’interesse da tutelare previsto dalla norma incriminatrice per la rinuncia alla tutela da parte del titolare – es. consenso dell’avente diritto.
Invece, la minoritaria posizione monistica rinviene il fondamento politico – sociale è sempre lo stesso e risiede nel bilanciamento degli interessi contrapposti, sicché, anche nel caso di consenso dell’avente diritto, la liceità del fatto commesso in presenza del consenso stesso trova la sua base sempre in un confronto a monte che il legislatore svolge tra l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice e quello presidiato dalla scriminante, in tal caso cioè la libertà di autodeterminazione del soggetto.
In generale, è opportuno soffermarsi sulla collocazione della scriminanti nella struttura del reato, dovendo guardare alle due concezioni che da sempre si contendono il campo, da un lato, la teoria bipartita (due elementi: fatto tipico e colpevolezza), la quale non dà alle cause di giustificazione una collocazione autonoma nella struttura del reato, ma le colloca all’interno del fatto tipico, come elemento negativo dello stesso, cioè elemento che deve mancare perché il fatto presenti la tipicità richiesta. Mentre, dall’altro lato, la teoria tripartita (tre elementi: fatto tipico, antigiuridicità oggettiva e colpevolezza) assegna alle cause di giustificazione una collocazione autonoma, al di fuori del fatto tipico, quale elemento costitutivo ulteriore, detto antigiuridicità oggettiva, intesa come rapporto di contraddizione tra fatto e non solo norma incriminatrice, bensì ordinamento giuridico nella sua interezza. Il rapporto di contraddizione viene meno quando il fatto, pur tipico, è stato commesso in presenza di una situazione scriminante, in presenza della quale l’ordinamento facoltizza, impone e consente il fatto.
Le cause di giustificazione escludono in astratto la tipicità del fatto o la antigiuridicità oggettiva, in quanto, alla base della previsione della causa vi è un bilanciamento di interessi da parte del legislatore, il quale confronta l’interesse sotteso alla scriminante con quello sotteso alla norma incriminatrice e conclude nel senso che prevale il primo dei due interessi, essendo subvalente quello tutelato dalla norma incriminatrice. Quindi, in tali ipotesi, viene meno, in presenza di una scriminante, il danno sociale del fatto e viene meno anche l’esistenza del necessario contrasto tra fatto ed ordinamento giuridico nel suo complesso considerato. Peraltro, le scriminanti sono espressione esse stesse di principi generali dell’ordinamento, applicabili analogicamente ai sensi dell’art. 14 disp. prel. cod. civ.
Alla luce della precedente analisi generale sulle cause di giustificazione, occorre soffermarsi sullo stato di necessità, previsto dall’art. 54 cod. pen., il quale prevede che “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Mentre nel caso della legittima difesa si reagisce contro un aggressore che minaccia di offendere un nostro diritto, in tale ipotesi, si agisce per sottrarsi al pericolo di un danno grave alla persona e l’azione difensiva ricade non già su di un aggressore, bensì su di un terzo estraneo, cioè su una persona che non ha provocato la situazione di pericolo, che il più delle volte scaturisce dalle forze cieche della natura. Per molto tempo, la dottrina ha considerato lo stato di necessità come causa di esclusione della colpevolezza, muovendo dal presupposto che la ratio dell’istituto fosse da rinvenire nella impossibilità di esigere umanamente, da parte di chi si vede minacciato da una situazione di pericolo, un comportamento diverso da quello tenuto. Sennonché, ad una ricostruzione unitaria del fondamento della scriminante è oggi di ostacolo l’equiparazione di disciplina tra l’azione necessita diretta a porre in salvo un bene dello stesso agente e quella diretta invece a difendere un bene di una terza persona; l’idea della inesigibilità psicologica di una condotta diversa può indubbiamente giustificare la non punibilità di chi agisca per mettere in salvo se stesso o una persona a lui vicina, ma non spiega il perché debba andare esente da pena colui il quale agisce in modo necessitato per salvaguardare terzi. Dal punto di vista strutturale, lo stato di necessità presenta forti analogie con la legittima difesa, ma se ne differenzia per due elementi fondamentali; in primo luogo, l’azione necessitata si dirige non contro l’autore della aggressione ingiusta, ma contro un individuo innocente, in quanto non responsabile della situazione di pericolo che si viene a creare ed in secondo luogo, l’azione giustificata non deve tendere a salvaguardare un qualsiasi diritto, ma deve mirare a scongiurare il pericolo attuale di un danno grave alla persona. L’estremo del pericolo attuale, come situazione di fatto in base alla quale sia possibile formulare un giudizio di probabilità del prossimo verificarsi di una lesione è comune alla legittima difesa, anche se va precisato che il criterio temporale, basato sulla imminenza cronologia del danno, consente una corretta determinazione della attualità del pericolo, in quanto non di rado è opportuno agire anticipatamente per impedire l’aggravamento delle potenzialità lesive insite nella situazione di pericolo; tuttavia, la norma richiede anche che il pericolo sia: non volontariamente causato, nozione controversa, ove si chiarisce che l’accertamento della volontarietà deve essere riferito alla situazione pericolosa cui immediatamente si ricollega il danno, ritenendo tali anche le situazioni di pericolo dovuta a semplice colpa, mentre l’altra caratteristica è la inevitabilità – altrimenti del pericolo, da valutare con criteri rigorosi come affermato dalla Corte di Cassazione, ove è frequente l’affermazione secondo cui il pericolo non altrimenti evitabile postula una necessità inderogabile e cogente di provvedere alla salvaguardia del bene mediante condotta criminosa e soltanto con quella, senza alternativa. Peraltro, la corte ritiene la norma non applicabile nei casi di bisogno economico. Infine, il pericolo deve avere ad oggetto un danno grave alla persona, inteso, secondo una teoria minoritaria come morte o lesione grave, mentre, l’orientamento maggioritario tende a dilatare il novero dei beni di natura personale fino a includere quelli relativi alla personalità morale dell’uomo. La gravità del danno può essere determinata mediante un duplice indice: il rango del bene minacciato – criterio qualitativo ed il grado di pericolo che incombe sul bene – criterio quantitativo. L’ultimo requisito richiesto dalla disposizione è il rapporto di proporzione tra fatto e pericolo; secondo l’orientamento oggi dominante, il giudizio di ciò deve avere ad oggetto il rapporto di valore tra i beni configgenti, essendo però una valutazione complessa, ritenendo necessario integrare il raffronto del valore dei beni con l’esame comparativo dei rischi rispettivamente incombenti sul bene da salvaguardare e su quello del terzo che viene aggredito.
In relazione allo stato di necessità emerge una ipotesi problematica: lo stato di necessità abitativa e lavorativa. Al fine di comprenderne la portata applicativa e soprattutto la estendibilità a casi non previsti, quali l’occupazione abusiva e temporanea di un immobile per bisogno economico abitativo, occorre riferire la diatriba giurisprudenziale. Invero, un primo orientamento ha dato una risposta negativa alla estensione della causa di giustificazione in esame rispetto all’ipotesi di occupazione abusiva di una casa, affermando che l’assunto pericolo attuale di un danno grave alla persona non può includere beni diversi dalla vita ed integrità fisica, come quello di carattere economico – lavorativo. Tuttavia, in seguito, la Cass. Pen., n. 43078/2014 ha affermato che, ai fini della applicabilità dell’art. 54 cod. pen., la scriminante è configurabile in relazione ad ogni diritto inviolabile della persona, in ossequio all’art. 2 Cost., tanto che, nel caso di emergenza abitativa, si può estendere la causa di giustificazione purché il bisogno sia transeunte ed a seguito di un giudizio di inevitabilità, improntato alla valutazione di un pericolo imminente.

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