Nel procedimento penale, il termine prova assume numerosi significati, essendo riferito sia alla fonte, al mezzo, all’elemento, al risultato ed all’oggetto probatorio. Inoltre, essa si lega al procedimento probatorio, composto dalle fasi della ricerca della prova, della ammissione, della assunzione, della valutazione ed infine della decisione del giudice.
In generale, è corretto affermare che, essendo il fatto di storico di reato un evento accaduto nel passato, esso può essere conosciuto soltanto attraverso le tracce che ha lasciato nel mondo reale e nella memoria delle persone. Pertanto, la prova può essere definita come un ragionamento che da un fatto noto ricava l’esistenza di un fatto da provare, avvenuto nel passato e delle cui modalità di svolgimento occorre convincere il giudice.
In base alle suddette caratteristiche, il percorso logico che conduce alla prova, è definito come ragionamento inferenziale.
Tuttavia, appare necessario precisare la distinzione tra quella che è definita come prova rappresentativa e la prova indiziaria. Da una parte, la prova rappresentativa si riferisce al ragionamento che dal fatto noto ricava, per rappresentazione, l’esistenza del fatto da provare. Solitamente, tale accertamento avviene tramite l’esame incrociato che consente di valutare la credibilità ed attendibilità della fonte di prova. Dall’altra parte, invece, col termine indizio si esplica il ragionamento che da un fatto provato ricava l’esistenza di un ulteriore fatto da provare. In tal caso, accertato mediante il ragionamento inferenziale il fatto provato, si formulano, tramite un ragionamento deduttivo, delle regole di esperienza per dare una spiegazione ad un aggiuntivo fatto da provare, tramite la comparazione con casi simili alla vicenda in esame. Invero, le massime di esperienza sono regole di comportamento che esprimono ciò che avviene nella maggior parte dei casi, sviluppando un giudizio di relazione tra fatti analoghi.
Orbene, nei settori in cui sono richieste competenze specifiche, tecniche, scientifiche od artistiche, il giudice non può far utilizzo delle sole regole di comportamento comune, ma ha la necessità di affidarsi al sapere scientifico. La prova scientifica è un mezzo di prova moderno, introdotto all’interno del procedimento penale col Codice del 1988 ed iniziata ad applicare nella prassi a partire dal 1995. Il procedimento penale ha impattato, per la prima volta, col concetto di scienza, attraverso la sentenza Daubert del 1993, con la quale sono stati enucleati i criteri per ritenere utilizzabile il sapere scientifico in ambito giuridico. Tali criteri sono: la verificabilità del metodo scientifico, la falsificabilità della scienza, la sottoposizione della teoria al controllo della comunità scientifica e la conoscenza del tasso di errore.
In Italia, la prima pronuncia che applica concretamente la suddetta impostazione scientifica è arrivata molto tardi, nel 2010, la cosiddetta sentenza Cozzini, nella quale, si aggiunge, ai criteri della Daubert, anche la necessità che lo scienziato esplichi il metodo di falsificazione da applicare alla legge scientifica in esame.
Oggi, la prova scientifica, appare, all’interno dei processi, sotto forma di perizia o consulenza tecnica di parte. La perizia è disciplinata all’interno dell’art. 220 cod. proc. pen., la consulenza tecnica di parte, invece, trova la sua esplicazione all’interno degli artt. 230 e 233 cod. proc. pen.
Inoltre, il sapere scientifico si lega al problema dell’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento di un reato. In Italia, il primo a prospettare l’utilizzo del sapere scientifico per tale valutazione fu Federico Stella, che propose il metodo della sussunzione, cioè il cosiddetto metodo nomologico – deduttivo, in base al quale, si applicava la legge scientifica stabilita solitamente dal perito al caso concreto. Ciò comportava, però, l’utilizzazione delle sole leggi scientifiche definite universali o altamente probabilistiche, escludendo dal possibile sapere del giudice, quelle con una percentuale statistica più bassa. E’ soltanto con la sentenza Franzese del 2002 che si supera il precedente modello, elaborando il metodo bifasico della causalità, tramite il quale, ex ante, in astratto si individua la miglior legge scientifica applicabile alla fattispecie in esame, e successivamente, ex post, in concreto, si stabilisce se il caso rientra nell’area operativa della legge selezionata escludendo cause alternative, cioè operando un tentativo di smentita. Adesso, pertanto, si procede ad un giudizio di alta probabilità logica, finalizzato all’eliminazione di ogni ragionevole dubbio nel convincimento del giudice. Il metodo utilizzato per accertare il corretto utilizzo della legge scientifica deve essere applicato anche alle massime di esperienza, per vagliare la loro oggettività e pertinenza al caso concreto.
In un noto esempio giudiziario, ciò è avvenuto, nel processo di Garlasco, da parte del GUP di Vigevano nel 2009, il quale ha disposto un esperimento giudiziale al fine di stabilire se la massima di comune esperienza utilizzata dall’accusa per affermare la colpevolezza dell’imputato cioè il dover aver senz’altro calpestato il sangue e quindi averne sporche le suole delle scarpe, fosse applicabile nel caso concreto, procedendo ad un tentativo di smentita che, nel caso di specie, ha falsificato ciò.
Quando si parla di prova indiziaria, in cui rientra anche la prova scientifica, viene in rilievo l’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., in cui si stabilisce che: “l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti”. Sebbene, nel sistema accusatorio attuale, oltre a tale disposizione, sia presente il principio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, nonché l’obbligo di una motivazione strutturata nella pronuncia del giudice, spesso, la giurisprudenza fa ancora utilizza della teoria della convergenza del molteplice. Essa si esplica nell’accrescimento di valore probatorio della impostazione accusatoria con l’aumento degli indizi concordanti, quindi rispecchianti uno solo dei criteri richiesti dal legislatore.
Tale metodo di valutazione della prova scientifica ha trovato applicazione in numerosi famosi casi di cronaca, quali il processo di Cogne e di Perugia. In particolare, il metodo della cosiddetta prova logica è stato seguito dalla Cassazione, nella sentenza sul processo di Perugia, facendo sì che gli indizi, in particolare le riprese delle telecamere, le tracce di DNA in casa e sugli abiti della vittima, sebbene non tutti singolarmente supportati dalla gravità, precisione e concordanza, dovessero essere valutati come prova della responsabilità penale. Negli ultimi decenni, vi è stato uno sviluppo tecnico – scientifico particolarmente ampio all’interno del procedimento penale, tramite le indagini tecnico – scientifiche sempre più pregnanti ed invasive, come l’analisi del DNA, delle impronte digitali o le intercettazioni.
Alla luce della precedente analisi, pertanto, appare corretto affermare che la prova scientifica, sebbene sia una grande evoluzione all’interno del procedimento penale che consente senza dubbio una maggior precisione ed accuratezza nella ricostruzione del fatto storico, tuttavia, è necessario ricordare l’importanza del suo bilanciamento coi principi cardine del sistema penalistico italiano, nonché i limiti e le difficoltà di tale sapere, che mai può sostituire lo svolgimento di indagini definite tradizionali e soprattutto della formazione e valutazione degli elementi probatori nel pieno contradditorio delle parti.