Isola di Pianosa

Avvocato Corinna Fabbri | Isola di Pianosa

L’isola di Pianosa, come dice il suo nome, si staglia tutta in pianura davanti all’isola d’Elba.

Sono due tesori dell’arcipelago toscano e, finché non ci metti piede, non riesci a percepire il loro fascino e la presenza di un mare incantevole.

Pianosa si presenta come un’isoletta ricca di vegetazione, sopratutto di macchia mediterranea, piccoli arbusti, cespugli, alberi bassi, bellissime piante di cappero che noti sui muri non appena scendi dalla barca.

Non piove mai sull’isola o perlomeno quasi mai, forse una, due volte l’anno, data l’assenza di altitudine, che non consente di trattenere le nuvole sopra il territorio isolano.

E’ un parco naturale a cielo aperto, c’è un silenzio che permette di percepire la natura, fatta di mare e di vegetazione.

Sono arrivata a Pianosa, prendendo la barca dall’isola d’Elba. Già il percorso in mare fa battere il cuore. Le due isole sono vicine, un’oretta di navigazione, separate da un mare limpido, blu, quasi verde in qualche tratto.

Però, l’idea di visitare l’isola era nata diversamente.

Sapevo cos’era stata e, per questo, volevo vederla a tutti i costi.

IMG_4380

Pianosa era ed è un’isola carceraria. Sede di un penitenzario di alta sicurezza, che è rimasto in funzione fino alla fine degli anni ’90.

Perché mai uno dovrebbe essere attratto da ciò? Beh, facendo parte del mondo della giustizia, masticando ormai da qualche anno il diritto e la legge, ma sopratutto la passione e l’interesse per il diritto penale e ciò che gli ruota attorno danno spiegazione a questa domanda.

Arrivata a Pianosa decido di scegliere quindi l’escursione che più si avvicina all’idea di visitare l’isola.

La passeggiata in carrozza con il cavallo, guidata da Ugo. Un ragazzone alto, robusto, che scopro essere un ex ergastolano, condannato per omicidio.

E’ una persona tranquilla, serena, sorridente. Ha trovato la sua pace interiore ed il suo scopo di vita. Si occupa con amore dell’animale, della carrozza e di tutte le visite.

Se non dicesse niente, nessuno potrebbe sospettare il suo passato.

Ed è proprio questo che fa riflettere. Quanto condizionano le etichette?

Perché, aver commesso un reato, aver scontato una pena, non basta alla società?

Perché tutti sono pronti a giudicare?

Quello che ho imparato nel mio percorso giuridico è che, spesso, le esperienze di vita, gli errori, il dolore, il vivere nella delinquenza è frutto di una conseguenza, di una reazione, di una incapacità di vivere in maniera diversa.

A volte, però, come dimostra l’esperienza di Pianosa, dove accanto ad Ugo, c’erano e ci sono altre decine di detenuti, a fine pena, esiste la prova che si può cambiare.

Si può trovare la “giusta” via. La via della serenità, della capacità di vivere in pace col resto delle persone.

Il percorso di rieducazione, di risocializzazione è lungo, complesso e difficile, ma chi lo percorre fino in fondo scopre la bellezza della vita. Della libertà, dei valori.

Ricordo solo che non bisogna mai confondere la percezione sociale del giusto e dello sbagliato con quella che è la giustizia, la pena, nel mondo del diritto.

Bisogna entrare in contatto col mondo della delinquenza, della criminalità, dei penitenziari e delle carceri prima di poter parlare. Bisogna conoscere le storie umane di ciascuno. Bisogna saper ascoltare, capire, comprendere, sforzarsi di percepire, prima di giudicare.

Giusta è la pena che, sì “punisce”, ma sopratutto rieduca, ridà vita a chi, nel crimine, ha persa per prima la propria.

IMG_7616

  • “Il merito è anche di quest’isola”