E’ legittima la registrazione di una conversazione da parte di un partecipante alla stessa senza informare l’altro interlocutore?

registrazione conversazioni

 

Spesso, ci domandiamo se sia legittimo registrare una conversazione a cui partecipiamo all’insaputa degli altri interlocutori.

In generale, è permesso registrare una conversazione, anche telefonica, se si è parte attiva della stessa e quindi fisicamente presenti e partecipi durante il colloquio.

La normativa di riferimento si rinviene in diverse disposizioni, quali l’art. 15 Cost. sull’inviolabilità della segretezza delle conversazioni e l’art. 2712 cod. civ., nel quale si afferma che le registrazioni e le rappresentazioni meccaniche sono considerate prove valide dei fatti rappresentati. Peraltro, l’art. 6 del GDPR dispone che il trattamento dei dati è lecito se necessario al perseguimento del legittimo interesse del titolare, affermando altresì l’art. 9 GDPR che il suddetto trattamento, anche di particolari categorie di dati, è possibile se è necessario per accertare, esercitare o difendere diritti in sede giudiziaria. Da ultimo, l’art. 160 bis del Codice della Privacy sottolinea la validità e l’uso dei dati in Tribunale solo in maniera conforme alle norme processuali.

Quindi, la disciplina si fonda sul concetto principale di presenza fisica, nella conversazione, dell’interlocutore. Ciò significa che chi partecipa al colloquio è consapevole delle altre persone presenti, anche se non è a conoscenza della registrazione dello stesso da parte di taluno.

Si precisa che le registrazioni così effettuate, sia in forma di audio che video, possono essere utilizzate quindi come strumenti di prova per tutelare i propri diritti, sia in un processo civile che in sede penale. Tuttavia, per fare ciò, è necessario che le registrazioni siano chiare ed indiscutibili, non potendo esser considerate valide quelle di scarsa qualità o che possono indurre in errore.

La controparte può contestare la registrazione, dovendo far ciò in maniera chiara, dettagliata ed esplicita, basandosi su elementi concreti che dimostrino la mancata corrispondenza tra la registrazione e la realtà dei fatti.

La giurisprudenza ha affermato tali concetti ormai da molti anni con un consolidato orientamento, ribadito anche di recente con alcune pronunce, quali la Cass. Pen. n. 27382 del 22 Giugno 2023 ove si è esplicato che “lo statuto delle intercettazioni non è applicabile alla registrazione di conversazioni quando uno degli interlocutori è consapevole dato che in tal caso non viene in predicato la violazione del diritto alla segretezza delle comunicazioni, ma solo la violazione del diritto alla riservatezza che rispetto al primo gode di una tutela attenuata”, sottolineando altresì che “la registrazione da parte di interlocutore consapevole ha natura di documento, se formata in ambito extra procedimentale, mentre ha natura di prova atipica se è formata durante il o in funzione del procedimento”.

Da ultimo, la Cass. Pen. n. 30771 del 17 Luglio 2023 ha evidenziato che “la registrazione fonografica di un colloquio, svoltosi tra presenti o mediante strumenti di trasmissione, ad opera di un soggetto che ne sia partecipe non è riconducibile, quantunque eseguita clandestinamente, alla nozione di intercettazione, ma costituisce forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l’autore può disporre legittimamente, anche a fini di prova nel processo secondo la disposizione dell’art. 234 cod. proc. pen., difettando la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la terzietà del captante. Infatti, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o dagli altri interlocutori. In conclusione la spendibilità processuale delle registrazioni clandestine si gioca sulla pertinenza del documento fonico alla rappresentazione di notizie, aventi ad oggetto il contenuto del colloquio, che ben possono essere introdotte nel processo attraverso la testimonianza del partecipe implicato nella registrazione.”

Pertanto, emerge che, in presenza di determinati requisiti concreti, la difesa dei propri diritti prevale rispetto al diritto alla riservatezza.

Da tutto quanto sopra si evince, invece, che è vietato posizionare ed utilizzare un dispositivo in registrazione, allontanandosi dalla conversazione stessa, trattandosi in tal caso di un vera e propria attività di intercettazione clandestina, in quanto non rispettante le caratteristiche ed i limiti previsti per ciò dal codice di procedura penale.