Si riporta l’articolo del Corriere Fiorentino – del 02.05.2024 – a firma Elisa Messina – sull’iniziativa di aprire al pubblico una parte del carcere di Pianosa da poco ristrutturata
“L’ex braccio di Agrippa adesso visitabile: qui furono reclusi i terroristi negli anni 70 e poi i mafiosi dopo le stragi di Falcone Borsellino. Un recupero realizzato dal Parco Arcipelago Toscano. Ma il resto dell’isola è in rovina.
Le sbarre e le porte blindate sono azzurre come il mare che è lì fuori a pochi metri. Ma è un mare inaccessibile a chi finiva in queste celle minuscole. Siamo sull’isola di Pianosa, dentro un corridoio della «diramazione Agrippa», che, dal 1977 per volontà del generale Dalla Chiesa, divenne carcere di massima sicurezza per i terroristi e, poi, per i mafiosi condannati al 41Bis, dopo le stragi Falcone e Borsellino.
A partire dai primi giorni di maggio questi ambienti saranno visitabili dai turisti che arrivano sull’isola accompagnati dalle guide del parco dell’Arcipelago Toscano.
«Abbiamo ristrutturato solo una piccola porzione di questa grande e storica diramazione» spiega Gianmarco Sammuri, presidente del Parco.
Arrivare in pulmino fino all’Agrippa attraversando un varco nel lungo muro di cemento armato con le torrette, il muro Dalla Chiesa, camminare in questi corridoi, sfiorando muri ora tornati bianchi è un altro modo per conoscere quest’isola, le sue tante storie e le sue ferite.
Perché è vero che i visitatori sono attratti soprattutto dal mare cristallino di questa piccolo paradiso naturale, raggiungibile ogni mattina con una motonave dall’Isola d’Elba. Ma Pianosa è anche molto di più.
La famosa diramazione Agrippa, per dire, si chiama così perché prende il nome del nobile romano Agrippa Postumo che è stato, probabilmente, il primo «detenuto» noto di Pianosa: nipote adottivo dell’imperatore Augusto e in rivalità con Tiberio, fu qui esiliato e poi ucciso da un sicario.
E prima di diventare carcere di massima sicurezza, qui sorgeva uno dei poderi della grande colonia penale agricola voluta dal Granducato di Toscana – un’esperienza di detenzione e lavoro all’avanguardia – e poi, dal 1884 al 1965, un sanatorio dove venivano inviati i detenuti ammalati di tubercolosi un po’ da tutta Italia, nella convinzione, errata, che l’aria di mare facesse bene ai tisici. Tanti quelli che morivano, pochi quelli che guarivano.
Insomma, erano celle già cariche di sofferenza queste che videro arrivare negli anni 70 i capi delle Brigate Rosse come Alberto Franceschini a Roberto Ognibene. Il generale Dalla Chiesa, dopo anni di lotta al terrorismo, era diventato responsabile della protezione esterna delle prigioni italiane e individuò proprio in Pianosa il luogo inviolabile ideale dove rinchiudere i capi dell’eversione. Erano anni in cui si sparava per le strade, le rivolte nelle carceri erano frequenti e così assalti e tentativi di evasione.
Ma non bastava l’isolamento naturale di Pianosa: il generale trasformò l’ex sanatorio in supercarcere e fece costruire un muro di cemento armato di un chilometro e mezzo lungo tutto il versante dell’isola rivolto all’Elba. Della vecchia colonia penale restavano solo campi abbandonati e costruzioni destinate alla rovina.
Pianosa diventò sinonimo di carcere duro per i nemici dello Stato. «Dove le celle erano di cinque metri per quattro con tre brande fissate al pavimento, una panca e uno stipetto murato, uno sgabuzzino con il water» ricorda Giovanni Bianconi sul «Corriere». L’ora d’aria? In un cortile del passeggio di 15 passi per 10. E non era ancora il regime del 41bis.
Con la fine degli Anni di Piombo, nella seconda metà degli anni 80, furono spediti qui i camorristi più pericolosi. Col passare del tempo però la necessità di questo supercarcere sembrò venir meno ed era effettivamente sul punto di essere smantellato quando le stragi di mafia del 1992 cambiarono tutto.
Gli agenti della Polizia Penitenziaria che lavoravano qui se lo ricordano bene: da un giorno all’altro a Roma si decise che le «comodità» del carcere dell’Ucciardone dovevano finire per i boss che erano lì detenuti e per isolarli davvero impedendogli ogni comunicazione con l’esterno, si ricorse di nuovo all’Agrippa e al sistema ideato per i terroristi da Dalla Chiesa, che, nel frattempo, era stato ammazzato dalla mafia.
Nel giro di 10 giorni, padiglioni chiusi da anni furono ripristinati per un regime di detenzione ancora più duro, quello previsto dal nuovo decreto 41bis. «Capimafia del calibro di Michele Greco, Pippo Calò, Giuseppe Madonia si ritrovarono dal cosiddetto “grand hotel Ucciardone” ai patimenti di Pianosa» ricorda ancora Bianconi. Poi arrivarono qui, dopo la cattura, i super latitanti Leoluca Bagarella, uno dei killer di Capaci e sequestratore e uccisore del piccolo Giuseppe Di Matteo, e Nitto Santapaola. Il regime duro innescò qualche pentimento ma suscitò anche le denunce di Amnesty international e le minacce dei mafiosi.
Nel 1997 l’ultimo detenuto lasciò l’Agrippa e un anno dopo il supercarcere fu smantellato davvero. Le motivazioni erano soprattutto economiche ma la chiusura di Pianosa è finita anche al centro dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. L’Agrippa tornò a essere uno degli edifici carcerari di Pianosa in abbandono. A partire dal muro Dalla Chiesa che è ancora qui e visibile da lontano quando si arriva via mare. Oggi lo si può definire un ecomostro: cade a pezzi, ma abbatterlo è costoso.
Purtroppo sono tanti gli edifici in rovina presenti sull’Isola (come mostriamo in questo reportage). A partire dal paese ottocentesco affacciato sul mare dove praticamente ogni casa ha il tetto sfondato e dal suo porticciolo storico, un vero gioiello ora chiuso da transenne. Proprietà e responsabilità di questo borgo sono del Demanio: Pianosa è sempre stata «un’isola di Stato» senza proprietà privata. E se è vero che la chiusura del supercarcere ha restituito «l’isola proibita» a tutti gli italiani che ora possono visitarla, è vero anche che decenni di isolamento e di gestione carceraria hanno lasciato rovine. E per ora, nonostante promesse, idee e progetti, niente è stato fatto per salvare gli edifici storici che meritano di essere salvati e i tanti muri a secco presenti sull’isola.
Per iniziativa del Parco dell’Arcipelago toscano, che gestisce gli accessi e e le visite sull’isola, è stato ristruttrata e aperta al pubblico la storica Casa dell’Agronomo. Talmente bella che stride con il degrado delle costruzioni che la circondano. Oggi ospita un museo multimediale su Pianosa, la sua natura e la sua storia. Ed qui anche l’altra novità della primavera-estate 2024: l’orto botanico proprio di fronte alla Casa dell’Agronomo. Il turismo, perlopiù giornaliero e a ingressi contingentati, è una certezza che garantisce risorse al Parco. Risorse che poi vengono investite nell’organizzazione delle visite, nei miglioramenti e nei recuperi degli spazi che il Demanio ha affidato al Parco. Ma sono gocce nel mare.
Anche il Comune di Campo nell’Elba, di cui fa parte il territorio di Pianosa, procede via via a sistemare aree e servizi che gli competono (ha dato il gestione il piccolo hotel e il ristorante, per esempio) ma niente può fare su tutte le costruzioni di proprietà demaniale come il vecchio paese. Di cui ogni giorno crolla un pezzetto in più.”
Come diceva Trilussa, < Perché Pianosa è un mondo a parte, l’isola che non c’è. >